venerdì 3 aprile 2009

Duomo di Siena dal 400'

Anche durante la seconda metà del Quattrocento il Duomo di Siena seguitò ad arricchirsi di insigni sculture. Tralasciando i lavori, pur ragguardevoli, di Antonio Federighi, Neroccio di Bartolommeo, Domenico di Niccolo dei Cori, Urbano da Cortona, occorre ricordare almeno le due stupende coppie di angeli reggicandelabro, in bronzo, che fiancheggiano il ciborio sull'altar maggiore.

La prima coppia fu eseguita intorno al 1489 da Giovanni di Stefano, figlio del Sassetta: e per la fresca vivacità del modellato e la serena bellezza dei floridi volti, meriterebbe di essere meglio conosciuta e apprezzata.

Ad essa ha forse nuociuto il confronto con l'altra coppia, che è una delle più spirituali creazioni di Francesco di Giorgio Martini (1499). Il ciborio, questo autentico capolavoro di straordinaria eleganza e perfezione tecnica, non venne eseguito per il Duomo.

Il Vecchietta infatti lo modellò, tra il 1467 e il 1472, per la chiesa dello Spedale; sull'altar maggiore del Duomo venne portato dopo il 1506, quando lo stesso altare, sul quale era stata fino ad allora la Maestà di Duccio, venne rinnovato, secondo il disegno di Baldassarre Peruzzi.

Altri otto angeli reggicandelabro di bronzo si ergono contro i pilastri del presbiterio, e sono opere rarissime con le quali il senese Domenico Beccafumi, nel 1550, concluse sorprendentemente la sua attività artistica, svoltasi nel campo della pittura, e nella quale si era affermato come uno degli iniziatori del grande manierismo italiano.

E neppure si possono dimenticare le quattro statuette di marmo (S. Paolo, S. Pietro, S. Pio e S. Gregario) che Michelangelo Buonarroti prese a fare nel 1505, per il grandioso prospetto d'altare eretto da Andrea Bregno per i Piccolomini.

Certo sono tra le meno note creazioni michelangiolesche : tuttavia, e lo riconobbe e lo dimostrò il Kriegbaum, si tratta di opere interamente di mano del Maestro. Dei dipinti su tavola eseguiti per il Duomo nel corso del Tre-Quattrocento, alcuni sono andati perduti, altri sono esulati da Siena (così la Annunciazione di Simone Martini, ora agli Uffizi, così la Madonna delle Nevi del Sassetta, oggi nella collezione Contini Bonacossi di Firenze).

Ma nel Museo dell'Opera si conservano ancora, insieme con altre tavole, il trittico della Natività della Vergine di Pietro Lorenzetti, e la celeberrima Maestà che Duccio di Buoninsegna dipinse . Il prospetto costituisce una glorificazione della Vergine, che siede in trono circondata dalla sua celeste corte di santi, di sante e di angeli. Il rigoroso ordinamento dei personaggi trasfigura in sovrumana dignità l'apollinea bellezza dei volti assorti in un remoto fantasticare, immersi in uno stato di estasi adorante e di intima beatitudine.

E' l'immagine della Vergine appare supremamente regale e materna, nella monumentalità delle sue proporzioni e nella penetrante dolcezza dello sguardo, nella raccolta compostezza della posa, che però s'ingentilisce col tenue reclinarsi del capo, coi fluenti ritmi del manto e la musicale continuità del profilo che si staglia nitidamente contro l'aureo drappo del fondo.

Il tergo della composizione è suddiviso in ventisei scomparti, che proseguendo il racconto evangelico illustrano la Passione di Cristo. Ogni storietta è di un lenticolare nitore, di una compiutezza formale e di una preziosità coloristica senza pari; e i vecchi schemi iconografici della tradizione bizantina, che Duccio riprende e rielabora con gusto e sensibilità già gotici, vi appaiono profondamente rigenerati, e quasi ridestati a nuova vita.

E se il risultato stilistico di questa singolare simbiosi tra il vecchio e il nuovo, fra la tradizione dell'Oriente e il linguaggio dell'Occidente, è di una elevatezza eccezionale, non meno sorprendente è la capacità che Duccio dimostra nel cogliere i significati più sottilmente e intensamente lirici di ogni singolo episodio.

Alla quantità e alla qualità delle testimonianze che le arti maggiori lasciarono nel Duomo senese, non poteva naturalmente non corrispondere un adeguato livello delle arti minori, dall'oreficeria alla miniatura alla vetraria all'intaglio in legno al ricamo.

Noi qui ci limiteremo ad accennare a una tecnica caratteristica che nel Duomo di Siena ha trovato la sua più cospicua manifestazione, la pratica, cioè, del commesso marmoreo, a tarsia e a graffito, con la quale espertissime maestranze senesi nel corso di due secoli ne istoriarono il pavimento.

L'immenso tappeto di marmo comprende oltre cinquanta riquadri, con rappresentazioni di storie bibliche e figurazioni allegoriche eseguite su cartoni di maestri famosi, eia Domenico di Bartolo a Matteo di Giovanni al Pinturicchio al Beccafumi.

Così che il visitatore che percorre l'interno del tempio non si limiterà a volgere lo sguardo intorno, agli altari, o in alto (là dove splendono le due grandi "rote del vetro", l'una, sopra il coro, eseguita nel 1288 su cartoni di Duccio di Buoninsegna — primo esempio di vetrata istoriata di manifattura italiana l'altra, sulla controfacciata , dovuta al Pastorino senese ), ma sarà costretto una veduta della Libreria Piccolomini, frescata dal Pinturicchio .

Sotto Pinturicchio , “Ritratto di Alberto Aringhieri nella Cappella di San Giovanni Battista. a guardare anche ai propri piedi, per amministrare quella che è forse la più singolare pinacoteca del mondo.

E' quando avrà compiuto il giro della chiesa , varcando la porticina che si apre a metà circa della navata sinistra, si troverà trasportato in un mondo del tutto diverso, in quella Libreria che il cardinale Francesco Piccolomini (poi papa col nome di Pio III) fece costruire sullo scorcio del Quattrocento per custodirvi la ricca biblioteca appartenuta a Pio II, suo zio materno.

I codici greci e latini che ne formavano il vanto non vi sono più : anche se essi appaiono degnamente sostituiti dai libri corali mirabilmente alluminati da Liberale da Verona, Girolamo da Cremona e altri insigni miniatori del Quattrocento, senesi e forestieri.

Ma ciò che conferisce un aspetto di incomparabile bellezza alla sala spaziosa che per secoli ospitò le caste nudità marmoree del gruppo ellenistico-romano delle Tre Grazie, sono la volta e le pareti, interamente frescate, tra il 1505 e il 1507, dal Pinturicchio, che, dopo aver dipinto le scene della vita del Battista nella cappella di San Giovanni,compì qui l'ultima sua grande impresa, illustrando in dieci scene gremite di personaggi e con incantevoli sfondi paesistici, i fasti del più grande papa senese.

Per modo che passare dalle suggestive penembre del Duomo alla luminosa serenità della Libreria significa ripercorrere idealmente la meravigliosa vicenda della civiltà artistica di Siena, dal mistico Medioevo al trionfante Rinascimento.